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Intervista n° 1 a Tetsuo Hara

Ci può illuminare sui suoi esordi artistici e sui suoi modelli?

Già al liceo avevo fondato con degli amici una rivista stampata in fotocopie, tiratura 30 copie, e intitolata "Tenshin Ranman", nella quale avevo inserito una specie di poliziesco psicologico, intitolato "Gendai No Jinsei" (vita contemporanea) che si ispirava molto a Katsuhiro Otomo.
Ma la vera e propria scintilla l'accese un manga chiamato "Sono Takun" (il giovane eccetera) di Jiro Tsunoda.
Lo lessi al terzo anno delle medie ed allora cominciai ad impegnarmi nel disegno.
Al terzo anno di liceo spedii un mio manga a Takao Yaguchi (noto in Italia per Sampei il pescatore), ma mi rispose che non avevo ancora un segno sufficientemente maturo.
Dopo qualche mese gliene portai un altro ma mi rispose nel medesimo modo e così rinunciai a lui e cercai altri sbocchi.
Nel novembre 1981 spedii alla Shueisha "Gendai No Jinsei", sia quello pubblicato nel primo numero di "Tenshin Ranman" che l'episodio successivo.
Per mia fortuna quelle pagine finirono in mano a Buichi Terasawa, già allora un grande, e quella fu la mia più grande fortuna: venni infatti assunto come apprendista da Yoshihiro Takahashi, autore di Ginga (Zanna D'autore).

Però se il suo primo lavoro come assistente risale al 1981 ed Hokuto No Ken è del 1983 significa che lei ha avuto una carriera davvero folgorante!

Tra il 1981 ed il 1983 abbandonai il mio lavoro come assistente e debuttai al 33esimo Fresh Jump, un concorso della Shueisha per nuovi talenti, con SuperChallenger, un fumetto ambientato nel mondo del pugilato.

Fu quello il suo primo lavoro ad essere pubblicato?

No, SuperChallenger serviva solo al concorso.
Comunque l'attenzione dei redattori della Shueisha si rivolse verso di me così potei fare un fumetto per conto mio.
Il mio eroe preferito è tuttora Mad Max, il famoso serial cinematografico interpretato da Mel Gibson, per questa ragione ho creato Mad Fighter, un fumetto "fantamotociclistico" e, successivamente, Crash Hero, una storia di cui fui solo disegnatore.
Venne il tempo, quindi, per la mia prima serie ufficiale "Tetsu no Don Kihote", sempre ispirata dalla tematica del motociclismo.

Successivamente realizzò Hokuto no Ken, sbaglio?

No, è esatto. Dopo "Tetsuo no Don Kihote" mi impegnai al massimo nella realizzazione di Hokuto no Ken.

Ma quanto di suo e quanto di Buronson c'è nel personaggio di Kenshiro?

A differenza di altri lavori precedenti, Buronson, il mio sceneggiatore, mi ha lasciato grandi spazi per muovermi nel mondo che aveva ideato e nella caratterizzazione dei suoi personaggi.
Per questa ragione c'è molto anche di mio in Kenshiro sebbene non sia una creazione mia.

E per quanto riguarda gli altri personaggi, qual è il suo preferito?

Mi piace molto Shew, il guerriero cieco di Nanto...
Credo che la caratterizzazione sia venuta molto bene.

Qual è il suo punto di vista circa le polemiche innescate dai mass media in patria e all'estero circa l'estrema violenza di Hokuto no Ken?
In una recente intervista Bronson ci ha rivelato che lo scopo iniziale del progetto era di descrivere i sentimenti che l'umanità avrebbe potuto provare in un mondo primordiale e "genuino" come quello dell'era post-atomica...

In Hokuto no Ken penso di aver colto, e di aver quindi trasmesso le parti più viscerali del racconto.
Per esempio, spesso mi infurio di fronte alle ingiustizie per le quali si è costretti a tacere e mi viene da pensare: "Certo, se io fossi Kenshiro, potrei far fuori questo tizio in un attimo...".
Poi naturalmente non lo faccio...
Senza dubbio Kenshiro è un eroe violento, ma soprattutto, e questo credo anche che sia uno dei motivi principali del suo successo, è un personaggio in cui tutti tendono ad identificarsi.
Hokuto no Ken, più che un opera che inciti alla violenza, mi sembra al contrario un fumetto che la previene, offrendo al pubblico una valvola di sfogo dallo stress e dai soprusi di tutti i giorni.
Bisogna poi considerare che gli aspetti più crudi sono stati notevolmente accentuati nel cartone animato...

In questo senso lei si pone qualche forma di auto-censura nel disegnare le sue opere?

Non parlerei proprio di auto-censura, e nemmeno di morale, ma semplicemente di buon gusto: cerco sempre, per esempio, di disegnare i tizi che esplodono il più possibile simili a dei mostri, di modo che il lettore non possa pensare, vedendoli, che a fare quella fine siano dei veri esseri umani come lui...
Quanto poi al grado di violenza del cartone animato, va considerato che, a differenza del mio lavoro, alla Toei Doga nel realizzare le esplosioni dei corpi hanno addirittura tenuto sempre ben presente dei testi di anatomia...

Un'ultima domanda: se lei si dovesse imbattere in un tipo come Kenshiro, in una realtà come quella che ha descritto, cosa farebbe?

Semplice...Cercherei di farmelo amico!